Cinquant'anni fa il rogo degli hangar
  Piove, la notte fra il 28 e il 29 giugno del 1960. Poco dopo l’una di notte di quel martedì i riflettori dell’attualità tornano ad accendersi su quel mondo di cartapesta che sembrava in letargo. Un pauroso incendio distrugge quelli che i viareggini chiamano i “baracconi”, gli hangar dove prendono forma i carri in maschera. In pochi istanti tutto viene distrutto.
  Sulle cause del rogo non ci sono certezze assolute: all’inizio si ipotizza che possa essere stato un fulmine caduto nella notte, ma non vengono registrate queste scariche elettriche. L’ipotesi più probabile è quella di un corto circuito, ma c’è anche chi non esclude che qualcuno possa aver appiccato il fuoco per accelerare il trasferimento degli hangar al Marco Polo. In cenere non vanno solo i capannoni di legno, ma anche tutta l’attrezzatura utilizzata dai “maghi” nel loro lavoro e alcuni mascheroni in cartapesta commissionati in Italia e all’estero.
  I danni sono ingentissimi: le prime stime parlano di oltre cento milioni di lire e solo una minima parte potrà essere recuperata, visto che ad essere assicurati erano solo i capannoni e non il loro contenuto. L’incendio, inoltre, fa anche una vittima: Ida Giorni Barsechi, una donna di 53 anni moglie di un ferroviere; il suo cuore non regge allo spavento.
  Nelle ore successive la città si rimbocca le maniche per trovare subito una nuova sede ai capannoni e almeno pubblicamente, non viene mai messo in discussione di riuscire ad organizzare l’edizione del Carnevale 1961.
  La strada era ormai tracciata: vi era infatti già la volontà di spostare gli hangar nel quartiere Marco Polo, tanto che l’incendio non fece che sveltire le pratiche.
  Risolti i problemi burocratici, inizia la lotta contro il tempo per la consegna dei capannoni: la ditta che si aggiudica i lavori si impegna a finirli per il 30 novembre, mentre il primo corso mascherato è il 5 febbraio. I timori di non farcela sono fondati, quindi i carristi cominciano a lavorare in luoghi di fortuna. I capannoni vengono ultimati in ritardo, tuttavia il 5 febbraio 1961 solo tre carri e una mascherata saltano alla domenica successiva, quando infine tutti sono pronti.
  Il Carnevale aveva vinto anche la sua sfida più difficile.
I carri più amati da Mario Tobino
  Non si può parlare di Viareggio senza parlare del Carnevale , così anche Mario Tobino
Mario Tobino (Viareggio, 16 gennaio 1910 – Agrigento, 11 dicembre 1991) è stato uno scrittore, poeta e psichiatra italiano. Scrittore prolifico, esordì prima come poeta per poi affermarsi come romanziere. Le sue opere sono segnate da uno spiccato autobiografismo e da un forte connotato psicologico e sociale. nella raccolta di racconti “Sulla spiaggia e al di là del molo”, non trascura questa manifestazione.
  Tobino rievoca in questo libro due carri della sua infanzia e prima giovinezza. Sono costruzioni degli anni Venti, del periodo precedente all’avvento della cartapesta: “Tonin di Burio” e “Un sogno dopo un’orgia carnevalesca”. Sono carri che testimoniano il passaggio delle tecniche di costruzione basate sull’impiego di legno, gesso, stoppa e carta macerata, verso la definitiva acquisizione della carta a calco: il primo, di Giuseppe Giorni, detto “Noce”, fu il primo ad avere la musica sul carro e rappresenta Tonin, il tipico contadino lucchese.
  Il secondo, di Raffaello Tolomei, rappresenta un giovane alle prese con gli incubi dopo il veglione: ha fatto i bagordi, ha mangiato, ha bevuto e adesso in sogno gli appaiono draghi giganti.
Realizzato da Elena Ulivieri