Creatività
Ma è soprattutto nei neologismi e nelle funamboliche perifrasi che l’autore sembra divertirsi maggiormente. E’ un vocabolario, quello di Benni, estremamente personale, per mezzo del quale egli inventa tutto ciò che gli occorre. Si è spinti a pensare che la lingua italiana non gli basti, e che debba ricorrere alla sua trasbordante carica immaginifica per dare vita ad un lessico e ad un frasario assolutamente inesistenti ma che, grazie anche ad un accorto rispetto delle regole fonotattiche, acquisiscono un senso compiuto e corrente.
Per cui i grattacieli diventano grattasmog, i culturisti diventano antropomanzi muscolati, i quartieri malfamati delle città future sono Gwaiseshiway o Kisaseneshi (da leggersi rispettivamente Guai-se-sci-uai e Chi-sa-se-ne-esci).
L’urinare dei cani sui lampioni viene definito “tripodi oltraggi canini” e ancora, un’ anziana degente di Villa Bacilla che infila la testa nella capsula telefonica appesa al muro per trascorrere diverse ore al telefono, assume una posizione “cabinocefala”.
E l’originale vena creativa di Benni si manifesta mirabilmente anche attraverso le inconsuete immagini a cui ricorre in alcune sue descrizioni.
Pochi autori, infatti, si spingerebbero a definire degli stivaletti “di un materiale verde brillante simile a pastiglia Valda masticata”[33] oppure un giubbotto “di cuoio croccante”[34].
Contrasto e stile
Se il fil rouge del romanzo è il contrasto, esso si manifesta mirabilmente anche sul piano stilistico. In linea generale, è spesso possibile rilevare un andamento tronco, nel quale ad una salita stilistica segue bruscamente uno spezzamento di tono che vira verso l’imprevedibile comicità dell’autore.
Questa linea irregolare sembra essere uno dei tratti più caratterizzanti dello stile benniano, rinvenibile in molti dei suoi lavori. Paratassi ed ipotassi si alternano e si intersecano per dare vita ad una narrazione sempre in movimento, in una funambolica ricerca di equilibrio stilistico.
Leggendo il romanzo ci si trova davanti ad un variegato collage fatto di ossimori, accostamenti di immagini inconsuete, uso di termini dotti e scientifici ( quali “enfiarsi”, “colloidali” o “pechblenda”) che si alternano a volgarismi e parole colorite (la parola “culo” compare ben 25 volte).
Il tutto riesce tuttavia a fondersi in un armonico gioco di contrasti nel quale l’unità del romanzo si irradia attraverso una moltitudine di sfumature e di tonalità di stampo impressionista.
Si può affermare che il modo di scrivere di Stefano Benni risponda alla definizione di “leggerezza” data da Italo Calvino[35] nel corso delle sue lezioni americane (“The Norton Lectures. Six Memos For the Next Millennium”), ma “in Benni quella stessa leggerezza incontra il peso di essere in questo mondo: umorismo e surrealismo incontrano lo spirito critico in un mondo iperrealistico”[36].
E la lingua diventa lo strumento privilegiato per mezzo del quale la sua critica si sostanzia e prende forma. Spesso lo stridente contrasto tra la leggerezza e neutralità della forma, del contenitore (la parola) con la pesantezza e l’inquietudine suscitata dalla sostanza, dal contenuto (fatti o situazioni)
permette all’autore di acuire ulteriormente la propria visione negativa e di modellare una realtà tragicomica dai connotati fellinianamente surreali. In fin dei conti, come dice Benni stesso, “meglio apocalittici che indifferenti”.
I gerghi linguistici
Un’altra caratteristica centrale dello stile di Benni è la frequente parodia di diversi gerghi linguistici.
Su Neikos, pianeta della guerra, tutti i contendenti si rivolgono la parola secondo i più classici stilemi del mondo cavalleresco. Il comandante di una fazione, ad esempio, si rivolge al proprio avversario in questi termini:
“Questa offesa all'onore di mia sorella che tutti sanno casta come un'ermellina di sei giorni e vereconda come un domenicano andrà lavata con molto, molto sangue, e t'appresta a morire, glabro pusillanime, poiché sull'orologio del destino sono le nove meno un quarto, e dopo trecento anni la nostra faida avrà fine con la tua morte, poiché fu la tua stirpe a iniziarla e tu sai bene dove e perché, né io mi curo di rammentarlo”[37].
Analogamente viene parodiato anche il mondo del calcio, enfatizzando ad esempio la retorica e la povertà del modo di parlare tipica di certi calciatori. Lusingato dai complimenti del proprio comandante, un arciere di Neikos replica: “Sì, ma il merito è anche dei compagni con lo scudo che mi coprono bene e degli alabardieri che fanno un gran lavoro a centrocampo e soprattutto del Mister che sceglie sempre la tattica giusta, voglio dire, far centro è bello perché a ogni arciere piace centrare il nemico, ma se io faccio centro e la mia squadra perde allora è inutile, è preferibile magari se faccio meno centri ma la mia squadra vince, perché quello che conta è il lavoro di gruppo, il Mister è come un padre per noi e lo sponsor ci dà fiducia e noi speriamo di dare sempre il meglio per il nostro pubblico”[38].
Ma anche il mondo piratesco non viene tralasciato. Di grande effetto comico risulta il contrasto anche linguistico che emerge dalla ciurma di Capitan Guepière. Per quanto si tratti di un’allegra combriccola di pirati omosessuali dagli atteggiamenti effeminati e vanitosi, tuttavia il loro linguaggio spesso si fa carico di tutti i tradizionali clichés del bucaniere di bassa lega. Esemplificativo di questo gergo è quanto dice Capitan Guepière quando all’improvviso “menò un fendente di sciabola sul tavolato ed esclamò: - Branco di puttanieri incalliti e pendagli da forca senza Dio né patria, so cosa state pensando. Lo leggo sui vostri volti e sulle vostre braghe. Ma sappiate che se a uno di questi ragazzi verrà torto un solo capello, nessuno di voi sfuggirà al castigo del BungaWunga! E ora tornate al lavoro!”[39]
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