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L’anticonformismo, la grande creatività e un fertile gusto per i giochi di parole, fanno parlare, a buon diritto, di una vera e propria “bennilingua”.
Senza ombra di dubbio, uno dei tratti più caratteristici dello scrittore bolognese è la sua grande capacità di riversare su sintassi e lessico tutta la sua travolgente vena irrisoria.
La complessità e la ricchezza del modo di scrivere di Benni rispecchiano la complessità e la ricchezza del mondo che viene a descrivere. “L’aspetto formale della complessità dei linguaggi”, afferma, “cioè un tipo di scrittura che non si deprime davanti alla complessità, davanti al fatto che stiamo diventando una società multirazziale o multimediale, bene, questo aspetto del postmoderno, cioè della confusione dei linguaggi, della nascita di un linguaggio nuovo di comunicazione che comprende lingue diverse, dialetti diversi, e lingue meticce, mi interessa molto”.[28]

Una ricerca attenta

L’acutezza nel cogliere gli aspetti più aberranti della società moderna trovano limpido riflesso proprio nel suo linguaggio e nel suo stile.
Attinge contemporaneamente dall’alta e dalla bassa letteratura e cultura, combinando epico, elementi picareschi e frammenti di poesia. “Anticipa insomma quella graduale scomparsa di una linea di demarcazione fra la cosiddetta ‘cultura alta’ e la cultura di massa ormai riscontrabile in tanta produzione letteraria contemporanea”.[29]  Quello di Benni è un “uso spregiudicato e divertito dei generi, semplicità comunicativa popolare e pessimismo apocalittico da élite, curiosità-disgusto per il presente e continue, funamboliche fughe dell’immaginazione”[30]. Se da una parte lo scrittore bolognese si serve della lingua italiana con spregiudicatezza, piegandola alle proprie necessità dall’altra egli si rapporta ad essa anche con grande umiltà riconoscendole una straordinaria ricchezza diatopica e diacronica.[31]
L’autore stesso, a proposito del proprio linguaggio, afferma che “è tutto greco, latino, molisano, montanaro appenninico, pidgin rock, è la storia geologica della nostra lingua italiana bella e bastarda. Non uso il dizionario, esco per strada. E ci tengo a scegliere bene i nomi, in un libro ogni parola è preziosa”[32].

E che ogni parola sia preziosa lo dimostra il fatto che Benni cesella il testo come un artigiano.
Niente è casuale, tutto sembra avere un significato ben preciso. Nell’armonico caos stilistico dell’autore ogni cosa si trova nel posto in cui deve trovarsi. Ad una domanda sul suo rapporto con la scrittura, l’autore risponde: “sembra una scrittura naturale ma non ho assolutamente la scrittura facile. Non scrivo quasi mai di getto. Una pagina la scrivo e la riscrivo anche una decina di volte. Non sono mai contento”. Un’inquietudine certamente fertile che si traduce in un attento labor limae.

I nomi propri dei personaggi, ad esempio, difficilmente sono scelti a caso.
Il nome dell’apprensivo e paterno Satagius è preso direttamente dall’aggettivo latino “satagius, a, um” = che si cruccia.
La diavolessa Carmilla deve il proprio nome nonché la propria caratterizzazione all’omonimo romanzo gotico di Sheridan Le Fanu, la cui protagonista è una sensuale “vampiressa”.
Il segretario del partito razzista si chiama Ospitale mentre il dott. Siliconi non può che svolgere l’attività di chirurgo estetico.
Il braccio destro del Creatore è Ermete Trismegisto con evidente paradossale richiamo all’omonimo filosofo del I sec. d.C, cui è attribuito l’ermetismo, dottrina filosofica che difende il paganesimo dagli attacchi della religione cristiana.
E si potrebbe continuare con decine di altri esempi.

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