Test di accesso – Facoltà di Lettere

10 settembre 2009 1ª SEZIONE – COMPRENSIONE DEL TESTO

BRANO: Claudio Giunta, L’importanza del senso storico nell’educazione contemporanea (estratto da L’assedio del presente, 2008, cap. 8).

Non serve dire che anche l’educazione fondata sulle grandi opere del passato non è senza difetti e non è al riparo delle critiche. Può essere, e spesso è, un’educazione al conformismo e alla retorica.

Si fonda su opere e autori troppo lontani dal nostro gusto perchè dei giovani possano davvero apprezzarli, sicchè essi finiscono per fingere di amare ciò che ha la scuola ha detto loro che si deve amare. Impone un canone monumentale praticamente immobile, impermeabile all’evoluzione della società, e che ha tra l’altro il torto di essere formato quasi per intero dalle creazioni di maschi bianchi occidentali. E infine, la sua presa sulla realtà contemporanea è ogni giorno più scarsa: siamo davvero sicuri che per un’educazione liberale aggiornata ai tempi, per una vita vissuta oggi, la lettura di Aristotele o Virgilio o Kant sia più importante rispetto alla conoscenza dell’arte e del pensiero dei nostri contemporanei, che hanno sotto gli occhi il nostro stesso mondo?

Ma anche ammettendo che le cose stiano cosi, i difetti sono comunque ampiamente compensati dai vantaggi che un simile apprendistato porta con sè. Entrare in contatto con ciò che di meglio gli uomini del passato hanno pensato e creato è una cosa che non ha prezzo, come ricevere un supplemento di vita da trascorrere in epoche e luoghi che altrimenti non potremmo mai raggiungere, e che chi non passa attraverso questa esperienza non raggiungerà mai. Ed è una cosa che nè la vita quotidiana nè l’educazione tecnico – scientifica , con la sua concentrazione sul presente e sul futuro, sono in grado di dare. Perciò, almeno nei primi passi dell’istruzione (passi che arrivano ormai ben dentro l’università), il modo migliore per convincere gli studenti della validità di questa tradizione è quello di farla parlare: cioè di mettere di fronte a loro le grandi opere del passato, senza ignorarne il contesto e senza tacere i problemi che sollevano, ma anche senza opprimerle con l’erudizione. Ben vengano un piacere e uno stupore ingenui se questo serve a far amare e riconoscere un patrimonio così chiaramente inattuale. Questo patrimonio non serve soltanto a migliorare l’anima di chi se ne appropria, non è soltanto una terapia: aiuta anche a vivere con gli occhi aperti. Conoscere la vera grandezza rende più autonomi e più sicuri nel giudizio. A poco a poco, il confronto con opere davvero grandi insegna agli studenti a guardare con distacco alle mode che l’industria culturale è obbligata a produrre di continuo. Perciò, tra le obiezioni che si possono sollevare contro l’educazione liberale classica, la meno degna di considerazione è proprio quella secondo cui essa, con la sua cieca devozione verso il passato, non è in grado di addestrare nè alla cultura nè alla vita del presente. Al contrario, essa è l’unico vaccino efficace contro la marea di cose superflue e triviali che immiserisce la vita odierna. Che i produttori del superfluo e del triviale liquidino questa posizione come antiquata è quindi del tutto naturale. Quello che non è naturale è che essi trovino così scarsa resistenza in coloro che per formazione e professione dovrebbero tener fermo a un diverso modo di pensare e di vivere.

Niente è più facile che ironizzare su questa perorazione in favore della cultura tradizionale.

Ma a ironizzare è di solito chi possiede già un’educazione del genere, e può permettersi di criticarla e, se ne ha le forze, di superarla. Il problema riguarda invece precisamente chi ancora non possiede alcuna informazione culturale e si trova, senza bussola, in mezzo a uno sterminato bazar in cui tutto sembra utile e importante nella stessa misura. In questa nebbia, non è strano che i metodi abbiano finito per prendere il posto delle cose. Quello che conta, si sostiene, non è sapere ma saper applicare correttamente il metodo che l’oggetto – qualsiasi oggetto – richiede. L’importanza spropositata che nei curricula umanistici hanno avuto e tuttora hanno le discipline “metodologiche” come la teoria della letteratura o la semiotica ( ma anche la filologia immiserita a filologismo: in nome di quale valore o utilità si obbligano legioni di laureandi a perdere il loro tempo sugli autografi dei più irrilevanti autori contemporanei? Che senso ha questa mistica dell’esattezza?) - questa sproporzione, a danno delle discipline storiche, riflette uno spostamento d’attenzione dal valore e dal significato delle cose al loro meccanismo. Ma lo studio perde ogni significato se l’obiettivo che ci si prefigge non è un guadagno di cultura o di coscienza ma il corretto svolgimento di un compito. E il compito – e la cosa è tanto più deplorevole quanto più riguarda non la libera ricerca di studiosi già formati ma studenti alle prime armi – finisce per risolversi in un esercizio di sottigliezza condotto su oggetti che, semplicemente, non meritano tante attenzioni. S’impara un metodo, quasi sempre ozioso, e solo quello.