È conosciuta come Rivoluzione verde, ma in comune con la natura ha soltanto il colore. D'altronde l'approccio del mercato alla produzione agricola, tra gli anni Quaranta e Settanta del secolo scorso, è stato quanto di più altisonante possibile nei confronti del mondo circostante.
All'indomani della Seconda guerra mondiale, infatti, l'esigenza più sentita era l'autosufficienza alimentare e, pertanto, il modello di sviluppo agricolo definito dall'Europa comunitaria postbellica è stato quello dell'agricoltura intensiva, specializzata e ad alta produttività. Questa smaniosa ricerca della massima resa unitaria ha comportato, tuttavia, il ricorso sempre più oneroso e frequente ad input esterni, che nel lungo termine - sottovalutandone, se non trascurandone del tutto, gli effetti sull'ecosistema - si sono dimostrati essere un'arma a doppio taglio per l'agricoltura industriale. Una volta che l'obiettivo dell'autosufficienza alimentare è stato ampiamente raggiunto, infatti, sono emerse nuove necessità, legate alla crescente consapevolezza acquisita dal consumatore. La salvaguardia dell'ambiente, la gestione delle produzioni superiori alle esigenze del mercato, la tutela del territorio contro i fenomeni di esodo e degrado rurali e - per citarne un altro ancora - la maggiore attenzione prestata alla qualità del prodotto, sono i principali fattori testimoni che la finalità perseguita non rispecchiava più le esigenze della collettività degli anni Ottanta.
Rientrare in un'ottica di sviluppo sostenibile significava impostare processi produttivi in grado di ottenere alimenti qualitativamente validi, in quantità accettabile per non aggravare ulteriormente i prezzi di mercato, mediante l'utilizzo di tecniche di produzione a basso impatto ambientale.
A soddisfare pienamente i nuovi requisiti imposti dalla società moderna è stata quella tendenza culturale che esorta al ritorno alla natura, nata dall'incontro di tre correnti di pensiero sviluppatesi, nel corso del Novecento, intorno ai concetti di azienda agricola autosufficienteL'azienda agricola diventa organismo agricolo, in cui ciascuna componente del sistema policultura-allevamento concorre ad un equilibrio in grado di fornire completa autonomia dall'esterno. di Steiner, testamento agricoloGli scarti organici di ogni ciclo produttivo vengono riciclati come compostaggio nel ciclo successivo. di Howard e ottimizzazione delle risorse rinnovabiliIl metodo di coltivazione bio-organico pone i suoi principi fondamentali nell'attenzione per lo stato del suolo, in particolare l'importanza attribuita all'attività dei micro-organismi e all'humus del terreno. di Müller e Rusch: biologico in Italia, organic in Inghilterra ed ecológico in Spagna inquadrano dalle tre diverse angolazioni originali il trend apparentemente inarrestabile che, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, ha investito l'agricoltura mondiale, tanto da finire per coinvolgere nel suo sistema anche svariati settori ad essa direttamente riconducibili, come la ristorazione, il tessile o la cosmesi.
Una filosofia da sempre esistita e perseguita nei più remoti angoli della Terra che si ridimensiona a fenomeno di massa: irresistibile il richiamo ad indagarne le dinamiche.
Qual è la reale portata del biologico?
E chi è il bioconsumatore?
Ma soprattutto: ne vale la pena?
Biologicamente
Tutti i numeri del biologico
Non può essere fissata alcuna data di inizio per l'agricoltura biologica. I suoi principi, infatti, sono per lo più gli stessi perseguiti dai contadini sin dall'alba dei tempi. Semplicemente fino a che non è stata percepita come business, una definizione precisa e una disciplina giuridica non sono state riconosciute come prerogative.
La svolta in tale direzione, avvenuta nel 1991 con l'emanazione del primo provvedimento UE in materia, ha inaugurato un lungo processo per la delineazione di un quadro normativo esaustivo e, per quanto possibile, semplice, le cui tappe fondamentali possono essere ripercorse attraverso la presente linea del tempo.
Sebbene la manutenzione normativa sembri non essersi ancora conclusa, i provvedimenti nazionali e internazionali istituiti fino ad oggi hanno fatto registrare, nel nostro Paese come nell'intera Unione europea, risultati eccezionali.
In Europa
La superficie agricola utilizzata (SAU) è la somma delle superfici aziendali, di un dato territorio, destinate alla produzione agricola.
All'interno della SAU, che in Europa si mantiene poco al di sotto della soglia dei duecento milioni di ettari, si distinguono quei territori in cui viene praticata una produzione di tipo biologico.
A seguito della promulgazione dell'ancora vigente Regolamento (CE) 834/2007, mentre l'agricoltura si è vista sottrarre territorio ettaro dopo ettaro, la superficie coltivata secondo il metodo di produzione biologico si è progressivamente estesa, a scapito del sistema tradizionale, in tutta l'Unione europea, sfiorando un incremento del +46% in soli dieci anni.
-3%
+46%
Uno zoom sui singoli Stati membri mostra dove si concentrino le maggiori superfici agricole e di tipo biologico.
A dominare entrambe le classifiche sono i grandi Paesi comunitari.
Ma leader europeo, per rapporto superficie biologica/superficie totale, è l'Austria con un altissimo 19% medio annuo. Il merito di un simile risultato, per una nazione con le caratteristiche dell'Austria, è da attribuire - con ogni probabilità - alla forte sensibilità che questo paese ha sempre mostrato nei confronti dell'organic philosophy. Basti pensare, infatti, che l'Austria è stato il primo paese al mondo a stabilire regole per la produzione biologica. E già nel 1983.
Anche l'Italia può ritenersi soddisfatta.
7°
per
SAU
2°
per
SAU bio
6°
per
bio/SAU
In Italia
Il nostro Paese rispecchia appieno il percorso comunitario dal 2007 ad oggi, con una progressiva perdita di SAU e un parallelo incremento di superficie agricola utilizzata e coltivata a biologico.
-13%
+36%
Se da un lato, però, la storia italiana è analoga a quella comunitaria, sono diversi, dall'altro, i numeri. Infatti, durante tutto il corso dell'evoluzione del settore biologico, il tasso di SAU biologica italiana si è sempre assestato ben al di sopra della media europea.
Risultati, questi, difficilmente eguagliabili senza la partecipazione di chi crede nella filosofia green a tal punto da investirvi la propria vita: gli operatori del settore.
Il numero di chi affianca il prodotto dalla fase di produzione a quella di distribuzione, concorrendo a garantirne in ogni momento l'autenticità biologica, è cresciuto del +19,3% dal 2007. La stragrande maggioranza sono produttori, che costituiscono, con , l'82,8% del totale degli operatori attivi del settore, assicurando all'Italia il primato europeo per numero di addetti alla fase di produzione negli ultimi anni.
Essi sono distribuiti lungo tutta la penisola, ma con una concentrazione evidentemente maggiore nelle regioni del Sud, in particolare in Calabria, Sicilia e Puglia, e soprattutto nelle province di Bari, Cosenza e Reggio Calabria.
Distribuzione degli operatori italiani per regione e provincia
Fonti: Sinab e registri regionali ufficiali
Inevitabilmente il successo del nuovo metodo di pensare e di agire ha fatto sì che il modus operandi si espandesse a macchia d'olio in altri settori, perché se il prodotto agricolo biologico funziona, magari, può funzionare anche la crema idratante contenente un principio attivo estratto da quello stesso prodotto agricolo biologico.
Biologica ménte
Il bioconsumatore
L'evoluzione di un fenomeno di simile portata non sarebbe, però, pienamente comprensibile senza l'intervento dell'altra componente fondamentale del mercato, cioè il consumatore.
Le interviste condotte su un campione eterogeneo di reali consumatori hanno consentito di individuare il profilo del bioconsumatore italiano e la percezione che egli ha della realtà biologica.
Intervistati
1000
Chi è il bioconsumatore?
Filtra per:
20-29 anni
È una giovane donna residente in Lombardia il profilo del bioconsumatore tipo che si delinea. E altrettanto interessanti sono i risultati ottenuti dall'elaborazione delle risposte sulle abitudini del campione.
In quale anno si è avvicinato al biologico?
La curva relativa all'anno di conversione al biologico - a ben guardare - ricalca esattamente gli andamenti delle serie storiche viste in precedenza: anche l'altalenante numero di consumatori, infatti, ha registrato una sensibile crescita a seguito della stabilizzazione normativa.
Perché si è avvicinato al biologico?
Varie le motivazioni adottate a sostegno di tale scelta: dal 36,3% di consumatori che crede nella purezza del prodotto biologico allo 0,4% che sostiene, invece, il cruelty-free, passando anche per il 6,5% di chi si sente maggiormente tutelato dal sistema e per il 4,9% che persegue la sostenibilità dell'ecosistema.
In quali ambiti e in quale misura utilizza il biologico?
La fiducia riposta in un certo principio, tuttavia, non è sufficiente a perseverare nella scelta in tutti gli ambiti della vita del bioconsumatore: se quasi la totalità degli intervistati preferisce il prodotto biologico nella cosmesi e nell'alimentazione, appena la metà di essi lo adotta in campo tessile, e, anche internamente ai singoli settori, la distribuzione dei consumi risulta piuttosto disomogenea, con percentuali bassissime di utilizzo esclusivo di prodotti biologici.
Giuliana ed Eleonora di Kamelì
"C’era da aspettarsi risultati simili. È tutta una questione di evoluzione dei mercati. Il mercato della cosmesi bio si sta espandendo a ritmi esponenziali, quello alimentare è in crescita continua, mentre quello tessile e dei prodotti per la casa stanno ancora muovendo i primi passi. Il mercato del make-up, invece, è un po’ controverso perché il bio è ancora lontano dal raggiungere gli standard prestazionali offerti dalla sfera NON-bio".
Ma, se nel primo caso le disuguaglianze possono trovare una soluzione nella spiegazione fornita da Giuliana ed Eleonora del laboratorio cosmetico artigianale Kamelì di Pisa, nel secondo caso la giustificazione più frequentemente adottata dai consumatori in risposta all'alternanza e all'accostamento di bio e convenzionale risiede nel costo dei prodotti biologici.
Quanto è disposto a spendere?
La stragrande maggioranza dei consumatori intervistati, infatti, non è disposta a spendere, per il prodotto biologico, più del 50% in più rispetto al prezzo di un equivalente tradizionale.
Il test
Dalla pesante incisione del fattore costo sulle scelte dei bioconsumatori, è nata l'idea di visitare fisicamente un supermercato, in cui fosse possibile reperire sia prodotti biologici che non, al fine di accertare le effettive consistenti differenze di prezzo.
Esselunga, una delle maggiori insegne nella GDO italiana e la prima ad immettere sul mercato, già nel 1999, una propria linea bio, è stata luogo di simulazione di due ipotetiche spese, una a marchio Esselunga e una totalmente a marchio Esselunga Bio.
Lista della spesa:
Dai due scontrini risulta che una famiglia media italiana, scegliendo di percorrere la strada biologica, si trova a dover affrontare una spesa giornaliera (limitatamente ai prodotti alimentari) maggiorata di ben 13,49€ che - come è facilmente intuibile - diventa difficile da sostenere a lungo andare.
+58,7%
Biologica mènte
Quanto è bio il biologico
Ma il gioco vale la candela? Dalle obiezioni mosse contro il sistema e dalle criticità intrinseche dello stesso arriva una risposta plausibile.
Obiezioni
Dopo i bioconsumatori, la controparte. Al vaglio degli obiettori tutte le motivazioni sostenute dal campione intervistato nella scelta di conversione: saranno sufficientemente solide o, al contrario, verranno da essi, parzialmente o totalmente, smentite?
Naturalezza 36,3%
Più di un terzo degli intervistati dichiara di preferire il prodotto biologico confidando nella sua naturalezza, ovvero nell'assenza di pesticidi durante la fase di coltivazione della materia prima e di ausiliari di fabbricazione nel corso della trasformazione del prodotto.
Conoscere la normativa che regola la produzione biologica, e non limitarsi a fare affidamento esclusivo sui luoghi comuni, sarebbe, tuttavia, sufficiente a comprendere come la realtà non sia esattamente quella appena descritta. Il vigente Regolamento (CE) 834/2007, infatti, smentisce la purezza di entrambi i casi.
Materia prima
Articolo 4 - Sebbene i processi biologici siano fondati su "sistemi ecologici che impiegano risorse naturali interne ai sistemi stessi", fattori di produzione esterni autorizzati, "qualora [...] siano necessari", sono ammessi anche in agricoltura biologica. Essi possono essere "sostanze naturali o derivate" o provenire "da produzione biologica" o ancora essere "ottenuti per sintesi chimica".
Articolo 16 - "La Commissione autorizza [...] l'uso nella produzione biologica di prodotti e sostanze che possono essere utilizzati nell'agricoltura biologica e include tali prodotti e sostanze in un elenco ristretto", in cui figurano anche i "prodotti fitosanitari", ovvero alcuni pesticidi.
Prodotto trasformato
Articoli 19 e 21 - "Gli addittivi, gli ausiliari di fabbricazione, gli aromi, l'acqua [...]" possono essere utilizzati nei prodotti alimentari se "senza ricorrere a tali prodotti e sostanze, sarebbe impossibile produrre o conservare gli alimenti o rispettare determinati requisiti dietetici". Tali prodotti e sostanze "si trovano in natura e possono soltanto aver subito processi meccanici, fisici, biologici, enzimatici o microbici salvo ove [...] non siano disponibili in quantitativi o qualità sufficienti sul mercato".
Articolo 23 - Inoltre se un prodotto alimentare per essere considerato biologico deve contenere "almeno il 95% in peso di componenti biologiche sul totale degli ingredienti di origine agricola", significa che la restante parte può essere teoricamente costituita da elementi trattati con i peggiori pesticidi.
Le contaminazioni accidentali entro certi limiti di tolleranza, inoltre, non possono essere mai escluse.
Salute 26,8%
Con il prodotto biologico, secondo un'altra ampia porzione di intervistati, si apporterebbero all'organismo benefici altrimenti difficilmente ottenibili per altra via.
In merito alla questione salubrità è intervenuto Gian Paolo Accotto, direttore dell'Istituto di Virologia Vegetale del CNR di Torino, il quale afferma che "tra le sostanze naturalmente presenti in molti vegetali ed alimenti, vi sono numerosi composti tutt'altro che salutari", come gli antinutrienti e le tossine vegetali.
La patata, ad esempio, produce naturalmente sulla propria buccia un pesticida naturale, chiamato solanina, potenzialmente pericoloso anche per l'uomo. Nel caso in cui, tuttavia, questo sistema di autodifesa dovesse fallire e il parassita riuscisse così ad attaccare il tubero, la solanina migrerebbe all'interno della pasta, per poi finire nel piatto del consumatore.
Gian Paolo Accotto
Esempio di patata attaccata dalla solanina
A volte, dunque, sembrerebbe più salutare proteggere le coltivazioni con qualche fitofarmaco di sintesi, più efficace contro gli intrusi e più sicuro per noialtri, dal momento che, essendo estraneo alla fisiologia del vegetale, questo non dispone di meccanismi di migrazione e verrebbe, quindi, completamente eliminato insieme alla buccia esterna.
Qualità 20,9%
A sostenere, invece, la superiorità qualitativa del prodotto biologico è almeno un quinto degli intervistati. E con loro gli stessi produttori, secondo i quali i prodotti biologici sarebbero più nutrienti rispetto a quelli industriali. “Una tesi suffragata da dati rilevati, però, sul peso bagnato degli alimenti”, ribatte Carlo Cannella. Ciò significa che, secondo quanto sostenuto dal professore di scienza dell'alimentazione nell'Università romana La Sapienza, una valutazione più veritiera sarebbe quella condotta sul peso secco - e quindi in condizioni di completa omogeneità.
Carlo Cannella
Lo studio danese
Polifenoli biologici e polifenoli convenzionali?
Cogliendo il suggerimento di Cannella, un gruppo di ricercatori danesi ha intrapreso uno studio sistematico su tre tipi differenti di derrate alimentari.
Esemplari di patate, carote e cipolle, coltivate con metodo tradizionale e con metodo biologico, sono stati, prima, essiccati mediante estrazione pressurizzata e, successivamente, analizzati per rilevarne i quantitativi di flavonoidi (nelle cipolle) e di acidi fenolici (nelle patate e nelle carote), due gruppi di polifenoli tra i più importanti per interesse dietetico. Dal confronto dei risultati ottenuti, avvenuto in condizioni assolutamente omogenee, “non sono state trovate differenze nel contenuto di flavonoidi e acidi fenolici tra i due sistemi di coltivazione", concludendo, pertanto, che i principi nutritivi possano non variare dal prodotto biologico al prodotto convenzionale.
Sicurezza 6,5%
Minore, ma comunque significativa per comprendere la percezione del consumatore, è la percentuale di chi sceglie l'alternativa biologica perché riconosce nel sistema di controllo una tutela maggiore. Gli organismi predisposti, tuttavia, "sono responsabili - come si legge nell'art. 27 del Reg. (CE) 834/2007 - dei controlli relativi agli obblighi sanciti dal presente regolamento." La presenza di una certificazione biologica nell'etichettatura di un prodotto, dunque, non influisce in alcun modo sulla sicurezza relativa alle proprietà dello stesso.
Tutti i prodotti immessi sul mercato, siano essi convenzionali o biologici, rispettano rigorosi criteri di sicurezza a garanzia del consumatore: così il prodotto alimentare tradizionale che arriva in tavola potrà, sì, contenere tracce di pesticidi, ma entro livelli scientificamente ritenuti innocui, e non diversamente accade per un equivalente biologico che per autodifesa, non essendo trattato chimicamente, potrà aver sintetizzato esso stesso pesticidi naturali, non di rado assai più pericolosi di quelli artificiali. È al di fuori delle norme vigenti che non si possono mai escludere effetti pericolosi, indipendentemente dal metodo di produzione.
Logo di produzione biologica
dell’Unione europea
Sostenibilità 4,9%
Anche coloro che prediligono il prodotto biologico credendo di contribuire a quella presunta stabilità perseguita nei confronti dell'ecosistema, rimarranno sorpresi nello scoprire che la loro scelta non regala nessuna patente di persona impegnata per il bene dell'umanità.
Sulla Terra siamo circa sette miliardi. Secondo quanto sostenuto dal chimico Gianni Fochi, se l'impiego anche dei soli fertilizzanti di sintesi chimica venisse - per assurdo - sospeso, "come auspicano i fantomatici paladini della sostenibilità, [...] un numero di noi, vagamente calcolabile tra i tre e i cinque miliardi, non avrebbe più da mangiare": i campi, infatti, non contengono quantità illimitate delle sostanze nutritive necessarie alla crescita delle piante, e uno dei grandi compiti dell'agricoltura è quello di rifornirle, man mano che i raccolti le sottraggono. I fertilizzanti naturali utilizzati nelle coltivazioni biologiche insieme al concime di stalla e alla pratica del sovescio non sono, tuttavia, sufficienti a reggere i ritmi di produzione ad alto rendimento imposti dal mondo moderno. Pertanto a sopperire alle mancanze della natura, concorrendo alla sostenibilità del pianeta, sembrerebbe essere proprio quella chimica così tanto demonizzata.
Gianni Fochi
Moda o curiosità 4,2%
Poi c'è anche chi, seppure in minima percentuale, ha ammesso di essersi avvicinato al mondo biologico spinto dalla curiosità, seguendo la moda. Un'occhiata, anche rapida, ai mass media è più che sufficiente a giustificare un simile comportamento.
VS
Chi non ha competenze dirette, infatti, non può fare a meno di costruirsi le proprie idee secondo le opinioni comuni, che quasi mai i mezzi di informazione smascherano o contraddicono, ma anzi rilanciano con grande rilievo. Così, mentre l'immagine della chimica che viene presentata è quella di un demone avvelenatore e distruttore, il prefisso bio-, che campeggia nei titoli dei giornali e risuona in televisione, appare chic e politicamente corretto. Facile, no?
Cruelty - free 0,4%
Seppure sia irrisoria, anche la percentuale di intervistati che opta per il prodotto biologico sostenendo la filosofia cruelty-free, merita una risposta.
Molto semplicemente: tra biologico e cruelty-free non vi è alcuna correlazione. Sebbene la produzione biologica si ponga tra gli obiettivi la definizione di un sistema che "rispetti criteri rigorosi in materia di benessere degli animali" - citando ancora il Reg. (CE) 834/2007 - la politica senza crudeltà si riferisce solamente alla cosmesi e alla detergenza.
La scelta di non incrementare la sperimentazione è, quindi, indipendente dal metodo di produzione: nella lista delle ditte certificate non testate, infatti, compaiono insieme Verdesativa, azienda certificata biologica, e Bottega Verde, che non ha niente a che vedere con il biologico.
Le conclusioni che sono possibili trarre al termine di questa articolata disanima coincidono e possono essere riassunte con il pensiero dello scienziato Silvio Garattini:
Silvio Garattini
"I prodotti dell'agricoltura biologica hanno una sola caratteristica accertata, quella di essere molto più costosi di quelli che rappresentano il frutto dell'agricoltura moderna. […] In ogni caso la fede nei prodotti biologici non ha mai ricevuto un supporto scientifico, perché non esistono studi comparativi che siano dimostrativi di un'asserita miglior qualità."
Criticità
E ad accreditare quanto appena detto sembrerebbe essere proprio lo stesso mondo biologico. A tal proposito, infatti, uno studio condotto sulle norme che regolano l'intero settore ha verificato la distanza tra la reale posizione del biologico e la posizione con cui, invece, questo viene percepito.
Come ogni volta in cui si faccia riferimento al biologico, è fondamentale mantenere distinti il settore agroalimentare dagli altri ambiti bio-etichettabili.
Il settore agroalimentare
Un prodotto agroalimentare che soddisfi le norme di produzione imposte dal Regolamento (CE) 834/2007 può essere definito biologico solo dopo l'emissione, previo pagamento di "una ragionevole tassa", del documento giustificativo, da parte dell'organismo di controllo (OdC) scelto, che attesti l'ottemperanza agli obblighi sanciti dallo stesso regolamento.
Dato lo status quo, emergono immediatamente due potenziali falle del sistema di controllo istituito.
1) Alla pluralità di OdC autorizzati, che in Italia sono attualmente sedici, corrispondono altrettanti regolamenti per il controllo e la certificazione a cui dover far fronte: sebbene, infatti, le disposizioni comunitarie siano alla base della stesura di tali regolamenti privati, le modalità di applicazione del servizio sono definite dal singolo organismo e possono differire, pertanto, da quelle di un altro, risultando per questo complessivamente più o meno selettive all'operatore che deve aderirvi. È il caso di BIOAGRICERT e ICEA, che dispongono due iter certificativi molto diversi.
Bioagricert
Visita preliminare
(facoltativo)
Domanda di accesso +
documentazione richiesta
Riesame documentale
Ispezione
(facoltativo)
Decisione
Icea
Domanda di accesso +
documentazione richiesta
Riesame documentale
Ispezione
Campionamento ed analisi
(facoltativo)
Riesame documentale ed ispettivo
Decisione
Ma è anche il caso di CODEX e SIQURIA per cui il documento giustificativo ha validità, rispettivamente, di 18 e 36 mesi, prima di dover essere rinnovato, ripercorrendo l'intera procedura.
2) La stessa concorrenza si ripercuote anche sul contributo dovuto dall'operatore per le spese di controllo e certificazione. Ciascun OdC, infatti, predispone un proprio tariffario, sulla base del quale calcolare il costo per la prestazione del servizio.
La consultazione di una parte di questi - quelli pubblici e a valenza nazionale - ha reso possibile stimare quale sia il prezzo che un operatore debba pagare per ottenere la certificazione biologica sui suoi prodotti.
Caso di studio
Il costo di certificazione per un'impresa agricola italiana di medie dimensioni
L'azienda
● Località: Toscana
● Dimensione: 8 ettari
● Attività: produzione
● Coltura: frutticola (2 ettari), orticola (2 ettari), cerealicola (3 ettari), pascolo (1 ettaro)
● Allevamento: suino (40 capi), avicunicolo (100 capi)
I preventivi
Da 446,74€ a 624,74€: è questo l'intervallo entro il quale oscilla la spesa di sola certificazione - e non di mantenimento della stessa - per un'azienda con le caratteristiche sopra riportate.
Gli altri settori
Per i prodotti di settori diversi dall'agroalimentare non esiste, invece, alcun piano normativo condiviso per il quale essi possano essere definiti univocamente biologici. La certificazione di questi prodotti, infatti, avviene per scelta volontaria del singolo operatore e ad opera di un organismo di controllo che offre questo ulteriore servizio sulla base di un proprio disciplinare privato, secondo un proprio regolamento e - ovviamente - dietro compenso.
Se i possibili problemi legati ad una pluralità di regolamenti e ad una certificazione a pagamento sono già stati portati alla luce e rimangono ancora validi, a gravare ulteriormente sulla credibilità del prodotto biologico si aggiungono anche il libero arbitrio lasciato all'operatore e i disciplinari diversi a cui è possibile riferirsi.
Il caso della cosmesi, l'ambito maggiormente quotato - ancora più dell'alimentazione - dai bioconsumatori, è esplicativo. Mentre un prodotto agroalimentare etichettato come biologico è sicuramente certificato nel rispetto della normativa comunitaria, altrettanto affidabile non può essere considerata l'etichettatura del prodotto cosmetico.
In primo luogo perché vengono a verificarsi, con la certificazione volontaria, due situazioni paradossali: non esiste, da un lato, alcun divieto di riferimento al bio nella presentazione del cosmetico, come nei richiami della già citata Bottega Verde, potendo proporre, quindi, un qualcosa di diverso da ciò che esso realmente è e causare, perciò, confusione nel consumatore; dall'altro lato un prodotto cosmetico effettivamente biologico può essere commercializzato come tale anche se non certificato, nel caso in cui l'operatore preferisca non affrontare la spesa del servizio, come accade per la piccola e già menzionata azienda Kamelì.
Logo del marchio Bottega Verde
Logo del marchio Kamelì
In secondo luogo perché, anche in caso di prodotto cosmetico certificato biologico, il riferimento ad uno tra i tanti disciplinari disponibili determina una condizione inverosimile.
Bios
Cosmetico biologico
Minimo 25% in peso di ingredienti certificati biologici rispetto al totale
Ccpb
Cosmetico biologico
Minimo 10% in peso di ingredienti certificati biologici rispetto al totale
Pertanto lo stesso prodotto cosmetico può essere certificato biologico da un determinato organismo di controllo e, al contempo, non soddisfare i requisiti richiesti da un certo altro.
Ecco che ad avvalorare le tesi sostenute dagli obiettori è direttamente lo stesso settore biologico: da una parte l'agroalimentare che mostra un sistema fallace, minato dalla mancata unitarietà e dalla certificazione a pagamento, dall'altra il caos che domina negli altri settori, privi di obblighi e regole omogenee, cosicché non tutti i prodotti spacciati come biologici lo siano, poi, davvero e non tutti gli altri non potrebbero esserlo.
Dovrebbe risultare chiaro, giunti fin qui, che il 100% biologico non esiste, ed è anche pura utopia. Cade così la maschera del bio come Sacro Graal e con essa la presunzione del sistema di proporsi o essere avvertito come migliore rispetto a ciò che sulla carta, poi, non sembra differire più di tanto.
Difficile, ed improbabile in questa sede, predire se la tendenza esplosa negli ultimi anni sia destinata ad esaurirsi, o meno, nuovamente in un pubblico di nicchia, ma scendere dal piedistallo della superiorità ed entrare nell'ottica dell'alternativa potrebbe, intanto, far ricredere molti.
Contatti
benedettasicari@gmail.comI lettori dicono