2° BRANO:

Paolo Sarpi
Introduzione alla Istoria del concilio tridentino (1619)

Il proponimento mio è di scrivere l’istoria del concilio tridentino, imperò che, quantonque molti celebri istorici del secol nostro nelli loro scritti abbiano toccato qualche particolar successo in quello, e Gioanni Selidano diligentissimo auttore abbia con esquisita diligenzia narrato le cause antecedenti, nondimeno, quando bene fossero tutti raccolti insieme, non si componerebbe un’intiera narrazione.

Io immediate che ebbi gusto delle cose umane, fui preso da gran curiosità di saperne l’intiero, et oltre l’aver letto con diligenzia quello che trovai scritto, e li publici documenti usciti in stampa o divulgati a penna, mi diedi a ricercare nelle reliquie de scritti delli prelati et altri in concilio intervenuti, le memorie da loro lasciate, e li voti, cioè pareri detti in publico, conservati dalli auttori proprio o da altri, e le lettere d’avisi da quella città scritte, non tralasciando fatica o diligenzia, onde ho avuto grazia di veder sino qualche registri intieri di note e lettere di persone che ebbero gran parte in quei maneggi. Ora avendo tante cose raccolte, che mi possono somministrar assai abondante materia per narrazione del progresso, vengo in resoluzione di ordinarla.

Raccontarò le cause e li maneggi d’una convocazione ecclesiastica, nel corso di 22 anni, per diversi fini e con vari mezi, da chi procaciata e sollecitata, da chi impedita e differrita, e per altri anni 18 ora adunata, ora disciolta, sempre celebrata con vari fini, e che ha sortito forma e compimento tutto contrario al disegno di chi l’ha procurata et al timore di chi con ogni studio l’ha disturbata: chiaro documento per rasignare li pensieri in Dio, e non fidarsi della prudenza umana.

Imperò che questo concilio, desiderato e procurato dagl’uomini pii per riunire la Chiesa, che principiava a dividersi, per contrario ha così stabilito lo scisma et ostinate le parti, che ha fatto le discordie irreconciliabili; e maneggiato dai principi per riforma dell’ordine ecclesiastico ha causato la maggior disformazione che sia mai stata doppo che il nome cristiano si ode, e dalli vescovi adoperato per racquistar l’auttorità episcopale, passata in gran parte nel solo pontefice romano, gliel’ha fatta perder tutta intieramente, et interessati loro stessi nella propria servitù; ma temuto e sfugito dalla corte di Roma come efficace mezo per moderare l’essorbitante potenza da piccoli principii pervenuta con vari progressi ad un eccesso illimitato, gliel’ha talmente stabilita e confermata sopra la parte restatagli soggietta, che mai fu tanta né così ben radicata.

Sì che non sarà inconveniente chiamarlo la Iliade del secol nostro, nella esplicazione della quale seguirò drittamente la verità non essendo posseduto da passione che mi possi far deviare: e chi mi osservarà in alcuni tempi abbondare, in altri andar ristretto, si raccordi che non i campi tutti sono di ugual fertilità, né tutti li grani meritano d’essere conservati, e di quelli che il mietitore vorrebbe tenir conto qualche spica anco sfugge la presa della mano e il filo della falce, così comportando la condizione d’ogni mietitura che resti anco parte per rispigolare.

Ma inanzi ogn’altra cosa mi convien raccordare esser stato antichissimo costume nella Chiesa cristiana di quietare le controversie in materie di religione e riformare la disciplina trascorsa in corruttela per mezo delle convocazioni de sinodi. Così la prima nata, vivendo ancora molti delli santi apostoli, se le genti convertite a Cristo erano tenute all’osservanza della legge mosaica, fu composta per reduzzione in Gierusalem di 4 apostoli e di tutti li fedeli che in quella città si ritrovavano, ad essempio di che nelle occorrenze che alla giornata in ciascuna provincia nacquero per 200 e più anni seguenti, anco nel fervor delle persecuzioni, si congregarono li vescovi e li più principali delle chiese per sedarle e mettervi fine, essendo questo unico rimedio di riunire le divisioni e reconciliare le opinioni contrare.

Ma doppo che piacque a Dio di dar pace alla sua Chiesa con eccitar al favor della religione Costantino, sì come fu più facile che molto più chiese communicassero e trattassero insieme, così ancora le divisioni si fecero più communi, e dove che avanti non uscivano d’una città, overo al più d’una provincia, per la libertà della communicazione si estesero in tutto l’Imperio, per il che anco l’usato rimedio delli concili fu necessario che si raccogliesse da più ampli luochi. Onde in quel tempo essendo congregato da quel principe un concilio di tutto l’Imperio, ebbe nome di santa e grande sinodo, e qualche tempo doppo fu anco chiamato concilio generale et ecumenico, se bene non raccolto da tutta la Chiesa, de quale gran parte si estendeva fuori dell’Imperio romano, ma dall’uso di quel secolo di chiamar l’imperatore patrone universale e di tutta la terra abitata, con tutto che sotto l’Imperio non fosse contenuta la decima parte di essa. Ad essempio di questo, in altre occorrenze di dissidi della religione, simili concili furono congregati dalli successori di Constantino, e se ben l’Imperio più volte fu diviso in orientale et occidentale, nondimeno maneggiandosi gl’affari sotto nome commune, continuò ancora la convocazione delle sinodi dall’Imperio tutto.