Capitolo 7 - GEPPETTO TORNA A CASA, E DÀ AL BURATTINO LA COLAZIONE CHE IL POVER’UOMO AVEVA PORTATA CON SÉ
Il povero Pinocchio, che aveva sempre gli occhi fra il sonno, non s’era ancora avvisto dei piedi, che gli si erano tutti bruciati: per cui appena sentì la voce di suo padre, schizzò giù dallo sgabello per correre a tirare il paletto; ma invece, dopo due o tre traballoni, cadde di picchio tutto lungo disteso sul pavimento.
– Aprimi! – intanto gridava Geppetto dalla strada.
Pinocchio, vedendo il gatto che giocherellava con dei trucioli, disse che non poteva aprire perché il micio gli aveva mangiato i piedi. Geppetto, credendo che tutti questi piagnistei fossero un’altra monelleria del burattino, pensò bene di farla finita, e arrampicatosi su per il muro, entrò in casa dalla finestra.
Da principio voleva dire e voleva fare: ma poi quando vide il suo Pinocchio sdraiato in terra e rimasto senza piedi davvero, allora sentì intenerirsi; e presolo subito in collo, si dette a baciarlo e a fargli mille carezze. Geppetto, che di tutto quel discorso arruffato aveva capito una cosa sola, cioè che il burattino sentiva morirsi dalla gran fame, tirò fuori di tasca tre pere, e porgendogliele, disse:
– Queste tre pere erano per la mia colazione: ma io te le do volentieri. Mangiale, e buon pro ti faccia.
– Se volete che le mangi, fatemi il piacere di sbucciarle.
E quel buon uomo di Geppetto, armatosi di santa pazienza, sbucciò le tre pere, e pose tutte le bucce sopra un angolo della tavola.
Mangiate o, per dir meglio, divorate le tre pere, Pinocchio fece un lunghissimo sbadiglio e disse piagnucolando:
– Ho dell’altra fame!
– Ma io, ragazzo mio, non ho più nulla da darti.
– Pazienza! – disse Pinocchio, – se non c’è altro, mangerò la buccia.
– Vedi dunque, – osservò Geppetto, – che avevo ragione io quando ti dicevo che non bisogna avvezzarsi né troppo sofistici né troppo delicati di palato. Caro mio, non si sa mai quel che ci può capitare in questo mondo. I casi son tanti!...