Paolo Stelluti I 1. Riconciliami con il vento con le alture, e con i cantici degli anziani. Anonimo muore l’Eroe e nell’anonimato nessun Eroe prende il suo posto... Restano tavole povere unte di gomiti e di proverbi, restano voci flebili ed ombre malferme, ed un misto di voglia e rimpianti. Riconciliami con le voci con le ombre, e con le illusioni dell’Occidente. 2. Questo non è un romanzo storico, ma un romanzo epico. Perché l’epica è ciò che manca a quest’epoca di appiattimenti, di inconsapevole tendenza all’uniformità. Pare che lo scopo di mezzi di comunicazione governativi o governi mediatici sia dimostrare l’inutilità della lotta. Ogni sforzo fuori dal mainstream è faticoso, ridicolo, démodé, inutile. Senza antagonisti la storia non evolve. Gli antagonisti non vengono eliminati, ma ridicolizzati, trasformati in icone, in fenomeni televisivi: mitologie vendibili, inoffensive, controllate. Mancano eroi. Ma non eroi passati, icone, simboli cristologici di qualsivoglia colore da celebrare o di cui cantare le gesta. Quest’epica è già stata inventata, e ormai annoia: è necessario inventare nuove forme di epica, nuove forme di eroismo. Oggi tutti ci creiamo quotidianamente nelle chat nuove identità: il nostro Io schizofrenico è abituato alla trasformazione. Perché non investire del tempo creandoci un’identità e un presente eroico? 3. Questo periodo ha bisogno di leader, ma è cambiato il concetto di leadership. I veri leader sfidano le persone, non le controllano. I veri leader danno libertà agli individui. (Ridderstråle – Nordström, 1999). I leader di cui c’è bisogno non creano strategie, apparati ideologici, mitologie per controllare le masse silenti, riflettendovi la propria personalità, i propri gusti standardizzati, la propria faccia. I nuovi leader sono centinaia di provocatori senza volto, che agiscono dal basso. 4. Quando Tyler ha inventato il Progetto Guasti, Tyler ha spiegato che lo scopo del Progetto Guasti non aveva niente a che fare col prossimo. A Tyler non importava se qualcun altro si faceva male o no. Lo scopo era far prendere coscienza a ciascun partecipante al progetto, del potere che ha di controllare la storia. Noi, ciascuno di noi, possiamo assumere il controllo del mondo. E' stato al Fight Club che Tyler ha inventato il Progetto Guasti. (Chuck Palahnjuk 1999). La violenza non è un atto sovversivo. Non più. Le bombe, le manifestazioni, i cortei, le manganellate. Non sono altro che forme di noia obsolescente. La fisicità oggi è sempre meno importante. La vita è altrove (Kundera, 1969): negli interstizi, nelle dimensioni transnazionali, nelle ibridazioni culturali, nelle nuove espressioni artistiche e letterarie, nell’immediatezza comunicativa, nelle idee e nella forma inedita che questa idee assumono. Perché la politica non lo capisce? [I partiti politici] nel tempo si sono evoluti come conglomerati di opinioni in merito alla gestione della sanità, dell’istruzione, della giustizia, delle pensioni, del servizio militare, ecc. Il problema è che oggi non c’è più coerenza sociale nel modo di vedere le cose. […] I tentativi di coerenza politica non sono in sintonia con le attuali percezioni ed esperienze del mondo, frammentate ed incoerenti. Di conseguenza, gli attuali partiti politici, in quanto conglomerati di opinioni, stanno perdendo legittimazione. Le persone li guardano con sdegno e disprezzo. (Ridderstråle – Nordström, 1999). La coerenza è obsoleta. Il bisogno di riconoscersi in un sistema coerente è obsoleto. Siamo sempre più spinti verso esistenze individuali, monadi autarchiche ma allo stesso tempo fortemente interdipendenti e interconnesse fra loro. Le nostre esperienze quotidiane sono frammenti di realtà veloci, slegati fra loro, strumentalizzati, amorali, paradossali, non necessari. Viviamo di metafore. Di astrazioni. Tutto ciò che è reale è razionale. (Hegel, 18…). Bisogna prendere atto della palese falsità di questo assunto. Semmai tutto ciò che è reale lo è in virtù della propria visibilità: l’esistenza in proporzione quanta gente sa della nostra esistenza. La classe politica non sembra aver notato quanto è sotto gli occhi di tutti: non esistono frontiere al trasferimento di informazioni. (Ridderstråle – Nordström, 1999). La scena del dibattito politico è ormai transnazionale. Gli eventuali luoghi di sovversione non sono più le piazze, ma i satelliti che riportano ovunque le informazioni, e le migliaia di cavi che ricoprono il fondo degli oceani connettendo i luoghi più disparati del globo. In realtà l’oceano, oggi, funziona come un grande accumulatore di dati, e forse, in qualche modo che io ignoro, li elabora. (Carabba, 1997) Il luogo di scambio e di produzione culturale è un luogo magico, misterioso ma funzionale: un nulla invisibile, la cui categoria principale è la velocità. Scrivere queste idee lo infervorava sempre. Stampò una copia del file e la passò a G. che sedeva alle sue spalle. Salvò il file, e spense contemporaneamente sigaro e PC. Aspettò che G. finisse di leggere. Fissava un punto indefinito, oltre il vetro della grande finestra che dava sul conglomerato di fronte. G. sollevò lo sguardo e inarcò le sopracciglia, perplesso. - “Come fai a scrivere queste considerazioni algide?” - “Che altro potrei scrivere?” - “Ma non capisci, cazzo?! E’ morto un ragazzo, un ragazzo a cui uno sbirro ha sparato in faccia!…” G. si alzò e se ne andò incazzato. Era venuto per mungere delle idee da scrivere sui manifesti, sugli striscioni. Un ragazzo era morto. Mentre riaccendeva il PC, sentì un brano degli Africa Unite provenire dallo stereo di suo fratello “…il primo colpo va sparato qui, dritto in faccia, sì scoppia in faccia, la prima volta ti fa male poi… libera!”. Sorrise. Ne aveva piene le palle del bisogno di martirio di questa sinistra. Come se non ci si potesse aggregare senza qualcosa o qualcuno da commemorare. Gli uomini, le idee, erano sicuramente la parte sana del paese, ma in fondo erano il meno peggio. E non ne poteva più di votare il meno peggio. Era irritante. Non ne poteva più di ora e siempre resistenza, assassini, comandante che guevara, e finti alternativi e radicalchic che finita la manifestazione festeggiavano con centomila di fumo e cocktail da trentamilalire l’uno. Prima di tornare nelle loro casette alternative in centro. Ed era stanco anche di indignarsi. Noiamortale. Uscì di casa: camminare è un rimedio a molti mali. E offre anche molte opportunità di scattare foto interessanti. II “…evocare la realtà come continua metamorfosi, per suggerire l’ibridazione come destino di ogni forma di vita nell’universo”. -Enzo Fileno Carabba- Incontrò G. in manifestazione. Alla fine aveva deciso di partecipare: in assenza di alternative efficaci, sentiva il bisogno di dare un nome a quella rabbia. G. sorrise, vedendolo, teneva in mano uno striscione con scritto “ASSASSINI”. Scrollò il capo: evidentemente G. non era riuscito a trovare niente di più originale. - “Che cazzo ci tocca fare, eh? La solita pantomima”. G. non sentì bene: stava gridando “pagherete caro, pagherete tutto!”. Intuì le sue parole e rispose che quella era la risposta più immediata: far sentire la propria presenza. - “Senza dubbio hai ragione, ma credo che il dolore sia …una questione privata, qualcosa di troppo intimo per essere portato in piazza. Credo sia sufficiente, anzi troppo, quello che è stato scritto sui giornali…” -“E’ l’unica cassa di risonanza possibile!” -“Si, ma bisognerebbe che la ‘celebrazione’ fosse solo un attimo intenso, a caldo, e che poi tutti smettessero di colpo di parlare: bisognerebbe poter sentire il rumore di sottofondo, dopo che sono sfumati gli ultimi accordi… E che dopo l’indignazione, il resto fosse un Renoir: niente retorica, ma una serie di istanti cristallizzati, unici, perfetti. In culo ad ogni mainstream: esistono troppi cori, e troppi cloni!”. Si accorse che stava gridando, e qualcuno lo guardava in modo strano. Questi figuri hanno bisogno di sentire parole conosciute. -“ …e quindi? Cos’hai in mente?”, chiese G. con ancora in mano il suo cazzo di striscione con scritto “ASSASSINI”. - “Un’officina del gas, un’alchimia contemporanea: trasformare pixel e byte (‘materia’ inerte, potenzialità pura), informazioni (il bene di consumo attualmente più richiesto) in arte, in provocazione, in politica. In qualcosa che non susciti i soliti sorrisi ma urla, o stupore…” - “Internet? Ma sicuramente ci hanno già pensato!” - “Internet è solo uno strumento, come molti altri. Ovvio, che ci hanno già pensato, ma in fondo anche assassini non mi sembra uno slogan inedito”. - “Touché”. E rise. “Ma in sostanza?” - “Prova a pensarci: la capacità di concentrazione è sempre più breve. E la soglia di attenzione sempre più alta. Non puoi pensare che la gente legga il Capitale, Main Kampf, la supercazzola della sinistra Hegeliana della scuola napoletana per sapere chi votare. E nemmeno sette quotidiani ogni mattina non se li legge più nessuno!” - “…e quindi?” - “Pensaci bene: cosa ti rimane in mente quando guardi la TV, oltre a tette e culi e le previsioni del tempo?” - “Cazzo la pubblicità! Geniale! Creare una coscienza politica attraverso la pubblicità…” - “Beh, non è molto originale ma è un’idea. Secondo me, inoltre, la cosa vincente è non usare un brand, un marchio. Tutti dietro ad uno spot cercano un marchio. Qualcosa da memorizzare. Ma il marchio non è inafferrabile, è catalogabile, controllabile, replicabile. Noi non siamo un marchio, ma individui! Cazzo dovremmo metterci in basso a destra? La nostra faccia?” - “Beh, c’è chi lo fa…” - “Si, ma quella faccia è il brand della sua azienda” - “Già, poi credo sia importante che rimanga in mente il contenuto dello ‘spot’, non…” Non lo lasciò finire. - “Ci pensi: tante piccole provocazioni, tante ingiustizie pubblicizzate, piccole verità che nessuno ha il coraggio di dire, immagini, anche slogan, - ma nuovi – appiccicati per tutta la città. Piccoli video proiettati nei luoghi più assurdi, installazioni imprevedibili, fotografie ripetute all’infinito, sequenze di fotografie, piccole ‘cacce al tesoro’... Capisci? Non un apparato ideologico forzatamente coerente, ma piccoli interventi slegati tra loro, e senza nessuno a sponsorizzare l’operazione”. - “Cazzo, come delle piccole incursioni nella coscienza della gente…” - “…già, e realizzate con un linguaggio che la gente è in grado di comprendere e seguire senza annoiarsi: la pubblicità.” - “…ma così stai dimostrando che la gente non è in grado di seguire un discorso articolato, delle idee…” - “ Non voglio giudicare nessuno: la realtà non è necessariamente buona o cattiva, ma un fatto…si tratta di evoluzione: forse c’è un senso, anche se ovviamente oggi ci sfugge”. E nel frattempo il serpente di persone lento e ordinato aveva raggiunto il punto di partenza: la cattedrale gotica simbolo della città. La paura prima della manifestazione era tanta, la tensione era altissima: era morto un ragazzo. La polizia aveva ucciso un ragazzo. E al manifestazione era un’urgenza nata quasi spontaneamente solo quattro giorni dopo. Qualcuno si chiese come mai non ci fosse nessuna divisa a controllare che la manifestazione si svolgesse in ordine, senza incendiare auto, sfondare vetrine, nonostante il percorso prevedesse una lunga teoria di banche, le BMW della borghesia milanese parcheggiate per la notte, il palazzo comunale, e la questura. La manovra degli sbirri lasciò pensare a molti che questa volta fosse palese che non ci sarebbe stato nessun elemento pericoloso da gestire, ma soprattutto nessuna parte da recitare, e nulla da dimostrare. La serata finì da Burger King a rimpinzarsi di anelli di cipolla e cosce di pollo fritte. - “…in culo all’antiglobalizzazione…”, rise G. - “ …beh, credo l’abbiano pensato in molti!”. Diversi manifestanti si stavano dirigendo verso le casse del fast food. - “…avremo dei tratti distintivi in comune con il resto dell’umanità anche noi, no?”. III Dopo la manifestazione, non vide più G. per diversi giorni. Non tutti i momenti sono eroici. E nemmeno erotici, ironizzava spesso. Lavorava dove capitava: aziende di servizi, multinazionali della padella, aziende farmaceutiche asettiche e sorvegliate quasi fossero il pentagono, magazzini e officine dove la sua cravatta era guardata come se avesse al collo un animale raro. Una vita nomade, percorsi apparentemente privi di centro e di logica, migliaia di chilometri al mese, ma decine di facce diverse, mani da stringere, accenti da memorizzare e parodiare, uffici e moquette, piazze, vie, caselli… Davanti ad uno schermo, ottimizzava flussi di dati. Le informazioni devono scorrere. Informazioni apparentemente prive di senso devono aggregarsi nei modi più imprevedibili, sommarsi tra loro, riassumersi, semplificarsi, collegarsi a decine di informazioni diverse fino ad ottenere trend, grafici, bilanci, o fino a trasformarsi in pentole, macchinari, composti chimici, cosmetici, automobili. Perfettamente imballate, stoccate in magazzini sparsi per il pianeta, pronte per essere trasformate in denaro. Un’informazione si perde rapidamente se non opportunamente catturata, incanalata, aggregata, trasferita. Un’informazione slegata dal proprio contesto non ha senso, non serve a nulla. Il suo compito era quello di creare ponti, e strade efficienti, ma soprattutto immaginare contesti nuovi, in cui l’informazione potesse essere trasformata in qualcosa di mai visto. Un alchimista, ironizzava. In realtà, l’aspetto positivo di quest’occupazione era quella di possedere astrazioni più o meno complesse che riassumevano una discreta porzione di realtà. Architetture immaginarie ma estremamente concrete. IV Si ritrovarono al solito Pub, una vecchia osteria rilevata da un simpatico personaggio che l’aveva conservata quasi esattamente intatta. Ambiente fumoso, tavoli di legno, antiche nonne in bianco e nero appese alle pareti, infissi traballanti, e un’ottima scelta di vini. Uno dei pochi luoghi di ritrovo dove era possibile scambiare quattro chiacchiere senza per forza dover chattare, assistere a qualche partita di calcio, attirare l’attenzione di energumeni incazzosi o conigliette in tanga, o cercare invano di raggiungere il banco per arraffare qualche patatina rancida in mezzo a mandrie di cerebrolesi. Era un angolo di passato in piena bassapadana, che forse – profetizzava G. – sarebbe stato un nuovo trend, di lì a poco. Il proprietario del Der grenz Punkt, il punto di confine, stava stappando senza sforzo una bottiglia di Refosco, mentre una ragazza inseriva nel lettore un CD di Renato Carosone. - “Prendiamo ad esempio una città del cazzo, chessò… Busto Arsizio”. - “Perché?” - “Da qualche parte bisogna pur iniziare. E’ un campione significativo: ottantamila abitanti, amministrazione comunale dai programmi in stile ventennio, attenzione ai giovani praticamente nulla., piano regolatore esilarante…” - “Esilarante?” - “Si! Pensa che qualche anno fa hanno costruito un cavalcavia per evitare l’attesa ad un passaggio a livello che tagliava una delle arterie principali della città, ed è stata un’operazione talmente lungimirante che la ferrovia pochi anni più tardi è stata interrata! Ehehehe…” - “nowords…” - “Bisogna disgregare il modo di vivere di queste persone, partendo dal loro modo di vedere la quotidianità…” -“…tipo?” -“Beh… prendi i monumenti: Busto Arsizio ha una quantità indescrivibile di monumenti praticamente inutili: un monumento deve servire per ricordare un evento alla cittadinanza, o per simboleggiare un valore condiviso, no?! Toh, leggi…”. E Nick estrasse un paio di fogli spiegazzati dalla tasca dei jeans. G. iniziava ad irritarsi. In fondo l’invito al Grenz Punkt aveva come fine il fatto che lui parlasse, invece si stava sorbendo una menata che non sembrava essere molto concreta… ma sorrise con gli occhi – lo conosceva molto bene: qualcosa di interessante poteva cavarci, magari un’idea per qualche articolo da vendere sottocosto a La Trielina, il quotidiano locale con cui collaborava – ed arraffò i fogli. V 1. Titolo originale: “Monumento ai caduti”, nome in codice: Tre culi. Monumento eretto negli anni … per ricordare i caduti della seconda guerra mondiale. In realtà trattasi di due obelischi paralleli in stile 2001 Odissea nello Spazio con in mezzo tre uomini bronzei, nudi, cristallizzati nell’atto di… cadere. Le ipotesi interpretative sono diverse: o lo scultore era assolutamente a corto di idee o di tempo per realizzare quel monumento e non ha immaginato nient’altro che una forma che chiarisse letteralmente il titolo. O forse pensava che gli abitanti della città fossero assolutamente privi della facoltà di interpretare una metafora, oppure – ed è la spiegazione che mi auguro – quel monumento non era altro che un’operazione culturale sottile ma dagli esiti grotteschi: l’applicazione di una didattica in stile medievale, dove l’astrazione era necessariamente minima (a causa dello scarso background culturale dei contadini cui le immagini erano rivolte) e i simboli dovevano essere per forza pochi, condivisi o facilmente spiegabili. Una nota di colore: la parte colta della popolazione ha sostituito il participio presente “cadenti” al participio passato “caduti”. 2. Titolo originale: sconosciuto, nome in codice: Appadreppìo. Di recente costruzione, trattasi di un monumento bronzeo raffigurante l’attualmente non ancora santo Padre Pio. Siamo di fronte ad un fenomeno sociologico interessantissimo: è infatti uno dei pochi monumenti non pianificati dall’amministrazione comunale, ma nato quasi per ‘generazione spontanea’. Risponde infatti ad un’esigenza popolare particolarmente presente nel quartiere dove il monumento risiede, anche se pienamente condivisa dalla cittadinanza. Il monumento, eretto all’interno di un piccolo ma curatissimo parco appositamente allestito, è diventato meta di processioni, ritrovi pomeridiani di stampo più o meno religioso, rosari, e dimostrazioni di devozione caratterizzate da manifestazioni in odore di paganesimo: c’è chi racconta di aver visto gente posare qualche panettone ai piedi della statua, prima di una breve preghiera silenziosa. Un antropologo avrebbe sicuramente di che scrivere. 3. Titolo originale: sconosciuto (sul luogo non esiste alcuna indicazione), nome in codice: La lumaca imbizzarrita. Forse il monumento più recente della città, è di sicuro il più enigmatico. Voluto per dare un senso alla costituzione di una piazza inutile, anzi dannosa (ha infatti scompigliato il traffico di una delle zone più frequentate della città, creando ingorghi mostruosi e costringendo a paradossali deviazioni per raggiungere posti vicinissimi; ha inoltre eliminato i già pochi parcheggi di fronte a videoteche e gelaterie: la classica idea sbagliata nel punto sbagliato), il complesso consta di una grande fontana circolare con al centro una forma di non semplice interpretazione. Trattasi di un lungo biscione stilizzato, dalla sezione quadrata, che sembra barrire al cielo, o forse esalare l’ultimo respiro. La cittadinanza non si è scomposta: innanzitutto per l’omertosa condiscendenza nei confronti dell’operato dei politicanti locali e della Chiesa (presunto sponsor dell’opera), inoltre poiché è cosa nota che un monumento nell’epoca del digitale non attira certo molti sguardi interessati. Qualcuno ha soprannominato l’indecifrabile scultura ‘Il canto del Cigno’, altri sospettano si tratti di una natività stilizzata, ma l’ipotesi più accreditata è sempre quella della lumaca che barrisce, per la strabiliante somiglianza con il lento e molle gasteropode. Pare che a tutt’oggi non esistano commenti o spiegazioni ufficiali. Church Power. 4. Titolo originale: sconosciuto, nome in codice: I Cubi. Apparso probabilmente durante gli anni ’80, questo bizzarro monumento, contrariamente al vicino monumento ai caduti è senza dubbio un tentativo riuscito di fantasiosa astrazione. Nessuno ha idea di cosa originariamente volesse rappresentare. Trattasi di tre (quattro?) cubi di similmarmo bianco che fuoriescono progressivamente dal terreno. Le ipotesi sono le più fantasiose: c’è chi vi vuole vedere una allegoria della geometria (forme squadrate, modularità), e –in senso lato- della razionalità, raffigurata come una manifestazione demoniaca (cubi vomitati dal sottosuolo), cosa che porterebbe all’esaltazione dionisiaca dell’irrazionalità, dell’arte, dell’orgia bacchica. Ovviamente questa è considerata un’ipotesi di nicchia. Altri vedono nei cubi lo spirito edonista che ha caratterizzato gli anni ’80, per l’uso che nelle discoteche viene fatto di uno strumento con quella forma. Gli storici locali amano considerare quelle figure un richiamo alle antiche origini della città (pare infatti che Busto Arsizio sia stata fondata in pieno territorio celtico da un popolo di Liguri arrivati laggiù chissà in che modo): i cubi richiamerebbero infatti i frangiflutti che solitamente proteggono dai marosi le città liguri. La componente rivoluzionario-sessantottarda, invece, ha proposto un’interpretazione che vede in quei cubi la rappresentazione dei ‘sanpietrini’ tanto cari al barricadismo. Nessuna di queste ipotesi, com’è evidente, ha alle spalle basi particolarmente scientifiche. Un aiuto inequivocabilmente illuminante quanto inaspettato, ci viene dalla mano di qualche burlone che qualche tempo fa – armato di sano pragmatismo lombardo e di vernice spray – ha trasformato quei solidi inquietanti in allegri dadi da gioco. 5. Titolo originale: A Enrico Dell’Acqua, nome in codice: A Enrico Dell’Acqua. Poche parole e poche fantasie su quest’imponente gruppo scultoreo. Trattasi di uno degli ‘eroi’ della città: un mercante. Un personaggio conosciuto e ricordato per aver avviato nell’800 le esportazioni di tessuto – uno dei più rinomati prodotti locali, oltre ai chiodi - nel lontano sudamerica. Niente da obiettare. Solo forse l’eccessivo splendore di un gruppo veramente solenne composto da cavallo, cavaliere, schiere di figure adoranti…tutto per un mercante. Unica nota poetica: il monumento a questo Colombo nostrano è posto proprio di fronte all’ingresso della Stazione Ferroviaria. 6. Titolo originale: All’operosità bustocca, nome in codice: Quale operosità? Tipico monumento celebrativo di una qualità attribuita ad un popolo. Ora, innanzitutto chiunque può rendersi conto facilmente grazie all’abuso di statistiche cui siamo quotidianamente sottoposti che il termine ‘popolo’ è in sé un’evidente generalizzazione, inoltre su che basi venga attribuita una qualità del genere ad una popolazione tanto eterogenea è un fatto incomprensibile. Qualsiasi sondaggio potrebbe facilmente dimostrare che in una scala di valori condivisi da un campione significativo della città, l’operosità non occuperebbe sicuramente i primi posti. Al limite l’operosità bustocca potrebbe costituire un luogo comune sugli antenati di questa popolazione. A questo punto: perché celebrare un valore passato e non condiviso? Anacronismo? Nostalgia? 7. … VI Nick stava cercando di caricare la pipa in modo perfetto: prima comprimendo dolcemente il tabacco nel fornello, poi via via in modo più determinato. Era quasi un esercizio zen, Lo zen e l’arte di caricare la pipa; ma in fondo era un esercizio per non pensare. “Il mio hobby era respirare” citava mentalmente un vecchio numero di Dylan Dog. Appena G. alzò gli occhi dall’ultimo foglio, Nick lo precedette: - “Naturalmente non è un elenco esaustivo: molti monumenti non sono catalogabili, altri sono di una banalità disarmante, altri ancora sono sconosciuti: molte zone della città sono ancora inesplorate…”. - “Beh, riconosco che questa roba sia abbastanza incendiaria – ammise G. – e di conseguenza impubblicabile, ma supponiamo che tu riesca a diffonderla: che scopo avrebbe?” -“Ma ci pensi?! Una ‘Guida alternativa alla città’ (ammesso che ne esista una ufficiale), creeremmo il ‘caso Busto Arsizio’, porteremmo alla ribalta una città che è universalmente riconosciuta come emblema del Nulla! Potrebbe ingenerare un fenomeno di turismo trash: in fondo gli americani vanno a visitare puttanate colossali come Hollywood o regni del trash come Las Vegas o la casa di Elvis! Pellegrinaggi sul set di ‘Via col vento’… ma lo sai che un unico centro commerciale nel nord degli Stati Uniti attira più turisti di tutto il Grand Canyon?!” -“Ok, ma in sostanza? Dopo che hai attirato l’attenzione? Non capisco il senso di questa fottuta operazione…” -“In realtà non me ne frega un cazzo dei ridicoli monumenti di questa città altrettanto ridicola. Quello che voglio pubblicizzare è il modo di pensare… se la gente imparasse a ragionare, a vedere le cose in questo modo…critico, laterale… con ironia e distacco… sarebbe un successo colossale…già… un successone…” In quel momento entrò D., ancora coperta di freddo e nebbia. Dopo essersi guardata intorno, si mosse lenta verso il loro tavolo, salutando qualcuno in fondo alla sala. Nick scomparve dietro al bicchiere di Refosco: quasi un miracolo della fisica. G. lanciò verso l’alto uno sguardo benevolo e bevve un sorso, sorridendo tra sé, sapendo che per quella sera non avrebbero più parlato di monumenti. D. lo salutò come si salutano le persone a cui hai snocciolato infiniti sinonimi della parola‘no’. Ma sorrise. E Nick si prese quello sguardo, perdendovisi. VII Qualche giorno più tardi, nell’imperturbabile città di Busto Arsizio, iniziarono a comparire delle targhette adesive sulla base di alcuni monumenti. In un primo momento nessuno ci fece caso. Non è semplice attirare l’attenzione di ottantamila persone, ma per creare un ‘caso’ ne bastano poche: sei, ad esempio. Una squadriglia di Scout durante una pallosa missione a sfondo ecologista organizzata dai capi-reparto, aveva deciso come al solito di imboscarsi a gustare un cannolo procurato da uno di loro, per poi tornare in sede a mani vuote. Sedevano dissacranti su uno dei Cubi, e mentre il capo squadriglia arrotolava con disinvoltura il manufatto, Ciccio, il più irrequieto, lesse la targhetta. Non capì un cazzo, ma gli sembrò curiosa, o quantomeno anomala, non la solita pubblicità di una Disco. La indicò al capo squadriglia, che, già con gli occhi beatamente languidi, la lesse e si inginocchiò come fosse di fronte alle dieci tavole della legge. Bingo, il vice, che dei sei era il più pragmatico, notò che in un angolo c’era stampigliato il numero 4. “Minkia zio, vuoi vedere che la missione di squadriglia è una copertura? Minkia zio, vuoi vedere che i capi-reparto sanno che di solito ci imboschiamo qui e ci hanno preparato un giòcogiòco? Minkia zio, vuoi vedere che non sono degli imbecilli come sembrano? Bella lì… Figataaa…” Bingo aveva l’abitudine di pensare ad alta voce, ed aveva questo suo stile vagamente ridondante. Di fatto gli altri si avvicinarono incuriositi alla targhetta. Il capo squadriglia smise teatralmente di prostrarsi, sollevò al cielo una faccia ispirata e mettendosi a correre gridò: “Gesùuuu il più bbello sei tuuuu… dacci i tuoi comandamentiiii…!”. Gli altri lo seguirono: era il capo… Tre ore più tardi, sui quaderni di quei sei figuri era riportata ogni singola parola delle sette targhette adesive. C’erano inoltre gli schizzi dei monumenti, i nomi delle vie o piazze in cui erano posti,, e una serie di coordinate IGM. I capi-reparto li accolsero con gli occhi sgranati: la squadriglia più fancazzista del gruppo già di ritorno, e con questo entusiasmo? Naturalmente la missione ecologista non nascondeva nessun gioco, ma ormai non aveva più importanza. Il capo squadriglia faceva il classico, era il moderatore dell’assemblea d’istituto (di lì a qualche anno sarebbe finito in un centro sociale nel lodigiano): fotocopiò e diffuse le parole copiate dai monumenti, inventando strane teorie corollarie che nessuno colse appieno, ma servirono per creare il clima di leggenda. Bingo, il vice, era in seconda allo scientifico (paranoico com’era sarebbe finito sicuramente a fare l’ingegnere): creò una banale pagina html che spacciò come esercitazione e riuscì ad infilare sul sito internet del Liceo. Ciccio, la sera stessa, provò a spiegare cos’era successo ai suoi amici, al ‘Cavallino’, ma nessuno capì un cazzo. In fondo non aveva capito un cazzo nemmeno lui. Ma i suoi amici, prima dell’after hour andarono in moto a leggere le targhette. VIII La cosa, dopo qualche giorno finì sulla pagina locale de La Trielina, e a firmare l’articolo fu la mano di G. Era un articolo molto particolareggiato, e riportava tutti e sette i testi. Qualcuno (tra cui il caporedattore) si chiese come cazzo facesse a saperne così tanto, di quella storia. Ma La Trielina aveva fatto una discreta tiratura, ed era comodo far finta di niente, nonostante l’amministrazione comunale avesse reagito in modo poco gentile, con un comunicato stampa che parlava di ‘diffamazione’, e ‘terrorismo’, e ‘screditare la città’. Intanto Nick era stato catapultato in una cittadina cazzutissima nella bassa vercellese: lì c’era solo un reattore nucleare in disuso ed un’azienda che produceva kit diagnostici radioattivi. Lì non arrivava La Trielina. Era difficilissimo anche raggiungere la posta elettronica. C’era solo quell’atmosfera decadente tipica dei luoghi più sperduti della campagna piemontese: gente che parlava solo di mucche e lo faceva con un accento ridicolissimo. Usavano costruzioni sintattiche interessantissime per un filologo come il ‘far che fare’, e l’interiezione che si sentiva più comunemente era ‘Vacca terra!’… Uomini curiosi, e ignari delle loro singolarità: sembrava di vivere nel villaggio di Asterix. C’era un’atmosfera sospesa come si trova solo nelle zone minacciate da qualcosa: lì gli dèi cui la gente non espressamente si appellava erano l’alluvione, e l’ombra del reattore. C’era una tristezza senza nome. Senza un nome preciso in questa lingua povera. I portoghesi la chiamano saudade, gli inglesi homesickness, Heimweh in tedesco. Qui è banalmente nostalgia, ‘sofferenza per il ritorno’, ma di fatto quello che immobilizzava Nick sul bordo di una risaia della bassa vercellese, era un sentimento più complesso della nostalgia. D. in quei giorni usciva spesso con ‘L’Uomoinutile’. A Milano. A trecento chilometri dal reattore. Tra loro due c’erano trecento chilometri, infiniti sinonimi della parola ‘no’, altrettanti dolorosi ‘non-detti’, la facciadaculo dell’Uomoinutile e una tristezza senza nome. IX “lottavano così come si gioca i cuccioli del maggio era normale loro avevano il tempo anche per la galera ad aspettarli fuori rimaneva la stessa rabbia la stessa primavera […] allora i miei trent’anni erano pochi più dei loro ma adesso è tardi adesso torno al lavoro…” -F. De André- X Erano stati inseparabili per anni, Nick e D. Amici, collaboratori, amanti. Poi strade diverse si erano intrecciate con le loro. Ad un certo punto, poi, come al solito qualcosa si rompe. Una cazzata, solitamente. E di colpo si viene travolti da una miriade di incomprensioni, banalità, rivalse… Resta una muta nostalgia reciproca, dietro agli occhi. Restano mani invisibili tese a cercarsi nei momenti più disparati, e quella presunzione, quelle questioni di principio che allontanano, che sembrano insormontabili. Nick non riusciva a mettere in moto. Pareva ipnotizzato dai poligoni irregolari delle risaie, perfettamente combacianti tra loro a formare un’enorme rete appoggiata sulla pianura, inframezzata da file infinite di pioppi che si perdevano divergenti nel sole che si abbassava veloce. Un antico incantesimo geometrico. Scrisse due parole sul piccolo quaderno che usava per gli appunti: sistema autoreferenziale. Mise in moto e si diresse verso l’autostrada, attraversando quelle prospettive tanto precise da sembrare artificiali. “Dipendere, essere in connessione con altre monadi è un limite. L’universo esiste interamente dentro di noi…– pensava - noi… io sono un sistema perfetto, perfettamente autonomo, devo diventare un sistema perfettamente autonomo. E’ l’unica condizione che mi renderebbe inattaccabile…Più si è piccoli più si è mobili, inafferrabili, vincenti, più si hanno possibilità: è una legge economica universalmente riconosciuta, oggi, no?”… ricordò una frase letta in rete sul sito di un bambino statunitense (un ragazzino! con un’intuizione così semplice e assoluta!): The lighter I get, the faster i trip. “Bah, e se valesse solo per le aziende?” concluse mentre scalava la marcia ed inseriva nel lettore un vecchio De Gregori: “Gli aerei stanno al cielo, come le navi al mare, come il sole all’orizzonte la sera, com’è vero che non voglio tornare, a una stanza vuota e tranquilla, dove aspetto un amore lontano, e mi pettino i pensieri col bicchiere nella mano…” XI “A quest’ora verso nord, se non è particolarmente fosco si vedono benissimo le Alpi, che abbracciano da lontano questo lembo occidentale di pianura. Nuvole come musi di drago sbucano da dietro la Punta Gnifetti. Staccano, i draghi bianchi e sperimentano un’improbabile gravità, sfiorandosi appena, enormi e ciechi, per decomporsi e ricomporsi velocemente in nuovi draghi silenziosi”. E’ incredibile la quantità di pensieri che affiorano mentre si guida. Uscì dall’autostrada prima di varcare il Ticino: amava compiere quest’operazione in modo lento, passando sulle statali, attraversando i paesi. Questi paesi che da sempre basavano i propri ritmi sulle piene, paesi dove fino a pochi anni fa le distanze erano misurate in “ore-cavallo”. Si chiese se i motivi economici (la fertilità della zona, la facilità di trasporto e la presenza di trote, lucci e arborelle) fossero davvero gli unici ad aver spinto l’uomo a costruire le città vicino all’acqua. “Ci dev’essere per forza qualcos’altro: l’acqua richiama a sé, genera una specie di magia nell’animo umano. L’acqua è una massa inafferrabile, potenzialità pura, energia… poi è un limite naturale, un confine, l’inizio dell’infinito, del nulla. Ci dev’essere una motivazione inconscia, altrimenti non si spiegherebbe una tale attrazione, uno scrittore torinese diceva: il mare è senza strade, il mare è senza spiegazioni …” La riflessione fu interrotta dal trillo fastidioso del cellulare. Sul display era comparso un numero ed una iniziale puntata: G. - “Cazzo sono tre giorni che ti cerco! Dovemminchia eri finito?!” - “…eh, sai il reattore nucleare, in quel posto del cazzo il telefono non prende, non ho a disposizione la posta elettronica…” - “Devo ammettere che hai scelto proprio un bel posto per andare a meditare… senti un po’: ‘…l’amministrazione comunale non esclude che si tratti di una manovra politica da attribuire all’opposizione, o un atto diffamatorio ad opera di qualche gruppo anarchico. […] Gli inquirenti stanno vagliando tutte le ipotesi..” - “Ma checcazzo stai dicendo?!” - “Non hai letto La Trielina, ingrato?… sono le reazioni alla tua bella idea: l’operazione ‘monumenti’…il sindaco è incazzato nero…” - “Stai scherzando!? Ma era un’emerita minchiata! Si sono bevuti il cervello?! Sono solo degli adesivi: gli Indipendentisti Pagani hanno tappezzato per anni tutte la città della zona con quei loro cazzi di adesivi verdi, peraltro privi di qualsiasi senso estetico…” - “Non so checcazzo dirti, tranne il fatto che l’operazione è perfettamente riuscita: un gruppo di boy scout domenica scorsa ha scoperto le targhette, e da allora un sacco di ragazzi hanno seguito il ‘percorso spirituale’ che abbiamo creato…” - “Ma non c’è nessun itinerario esoterico! Eravamo ubriachi!” - “Già, e subito gli sbirri si sono attivati per eliminare le targhette, ma magicamente il giorno dopo ricomparivano…” - “…e naturalmente questa è opera tua!” - “Mia!? Io non c’entro niente: sono un umile cronista, eheh… E non è finita: la cosa è diventata una leggenda metropolitana. I boy scout hanno diffuso nelle loro scuole i testi: basta poco per creare un mito…” - “…” - “Nick?…” Stava ridendo. XII Giunto a casa, trovò un biglietto di D. Subito si rabbuiò. Erano poche righe, scritte a matita (forse la matita che per caso gli aveva lasciato lui quella sera di settimana scorsa, al Grenz Punkt, uguale a quella che usava lui abitualmente). “Noi due non stiamo usando due matite identiche, ma la stessa matita, e la mano che la impugna è la stessa che scrive contemporaneamente parole antitetiche: andare e restare. E’ un’immagine splendida, regalataci dall’esistenza della metafisica. PS: ma è vero che l’operazione monumenti è un’idea tua? PPS: Dove sei? D.” Un biglietto di carta azzurra, piegato in quattro, con scritto sopra il suo nome. Nick. A matita. XIII Nick si accese un sigaro, liberandosi rapidamente dei vestiti. Si sdraiò sul letto. A fumare. Non ricordava più se D. fumasse a letto. Iniziavano a sfuggirgli dei particolari. La solita tristezza senza nome lo strinse alla gola. Aprì il quaderno e lesse qualche verso. Versi per D., tanto per cambiare. “Porgendomi il sogno hai sorriso lontana e afferrandolo ho infilato la mano dentro di te fino a toccare le ossa con dita inanellate. Liscio liscio e mozzafiato era il sogno.” C’erano anche delle foto. Delle foto notturne raffiguranti tremuli spazi geometrici, e persone in movimento. Persone dai contorni talmente mossi e confusi da sembrare anime inquiete che urlavano un desiderio di ritorno. Le aveva mostrate a D. in una vita precedente, forse. E ricordò il momento in cui alla sua obiezione secondo cui quelle foto erano troppo confuse, lei aveva risposto: “Nick, è la realtà ad essere confusa: queste foto ne sono solo una rappresentazione assolutamente realistica”. Il pensiero di D. aveva cancellato per qualche istante l’euforia per l’assurda telefonata di G. “Come cazzo mi vengono certe idee? – Sorrise ripensando alla faccia insignificante del sindaco, ai suoi insulsi baffetti, cercando di immaginarselo incazzato - Sarà che dormo senza mutande, e il vento mi entra in culo e arriva al cervello portandovi la merda, eheheh…” Si addormentò poco dopo, sognando D., le anime inquiete delle sue foto, e il Sindaco di Busto Arsizio, con delle dinamiche che forse non vale la pena di riportare. XIV Il giorno seguente fra i messaggi di posta elettronica, trovò un mail di G., dieci righe scritte pochi minuti prima. “Bisogna dimostrare di non stare al gioco. Noi siamo altro. Bisogna lasciare che si rendano conto che stanno giocando da soli, che ‘il dominio della lotta’ (come lo indica Houllebecq) noi l’abbiamo spostato, geometricamente su un piano differente. Se vogliamo fare un’azione politica, credo sia necessario che sia ‘nuova’. Non credo porti valore aggiunto alla protesta l’essere una voce tra mille, o un piccolo movimento tra altri cento che hanno idee simili ma connotazioni leggermente diverse per degli infinitesimi impercettibili. Questa in fondo è la solita supercazzola… Non credo sia efficace utilizzare le metodologie appartenenti al secolo scorso: la fisicità dell’esserci, e dell’essere in una piazza usando come armi slogan retorici e cubetti di porfido. Avevi ragione tu, stronzone: la fisicità è obsoleta. Nick, dobbiamo scrivere, per forza. G.” Giusto. Servono altre azioni, altri progetti. Bisogna scrivere, inventare. XV “…viaggiano i perdenti più adatti ai mutamenti…” - Giovanni Lindo Ferretti- Ma per scrivere serve il tempo. E le grosse quantità di tempo sono un concetto incompatibile con lo spirito di quest’epoca veloce. G. scriveva. G. scrisse. E parecchio: un saggio sull’eresia dolciniana, uno studio sul Duomo di Como. Opere complesse, ricche, innovative. Nick passò mesi a viaggiare da un’azienda all’altra, ad ottimizzare, discutere, risolvere, presentare. D. era scomparsa. Megliocosì. Fagocitata dall’illusione milanese, e dalle discussioni psicoradicalchic dell’Uomo inutile. Nick seguì G. in un breve viaggio sulle tracce di Dolcino. A Trivero, sparpagliata località dell’alto biellese dove l’eresia dolciniana visse il suo momento più intenso. G. aveva trovato le tracce di una figura particolare, un irrequieto – a quanto diceva G. -, che dopo la disfatta del Monte Rubello, riuscito miracolosamente a sfuggire al massacro ad opera del Vescovo di Novara…(???), aveva continuato per qualche anno a diffondere il messaggio dell’Eretico Valsesiano in quella zona delle Alpi Occidentali, arrivando a stabilirsi per un certo periodo in Val Formazza. XVI Durante il viaggio di avvicinamento, G. propose una piccola deviazione verso un luogo che poteva essere tranquillamente un Magritte. Barengo, inutile paesino agricolo abbarbicato a una delle poche colline che costeggiano il basso corso del Ticino, si distingue dagli altri mille per un’unica particolarità: la presenza di un nutrito numero di cicogne, che per pochi giorno l’anno colonizzano il campanile della chiesa parrocchiale, conferendo all’intero paese un’aria irreale. Un irreale angolo di Foresta Nera. Poco più di un paio d’ore più tardi si trovavano alla base della morena su cui si dispiega una delle strade più curiose del Piemonte: la Panoramica Zegna, strada probabilmente costruita per permettere traffici commerciali tra i lanifici valsesiani e la città di Biella. XVII Mentre G. seguiva con l’auto i morbidi tornanti voluti da Mr. Zegna, industriale della lana vissuto il secolo scorso, Nick. appuntava sul quadernino: Le azioni laterali, sì, credo che le azioni laterali siano preponderanti rispetto a tutto questo muoversi, rispetto allo scopo primario di questa come di qualsiasi giornata. Le azioni laterali, come disegnare un pinguino, pensare che questa città così sapientemente pulita ed ordinata tanto da sembrare Simcity sia realmente una città e non un luogo di villeggiatura. Le azioni laterali, come guardare le ali del cigno, le sue manovre estremamente naturali e rotonde sull’acqua. Pensare di essere un monumento bronzeo, magari dedicato al pensiero, ad un pensiero preciso, un pensiero rivoluzionario, un’eresia. E contemporaneamente guardare con occhi che non sono i miei, occhi di geologo, tutti questi verdi diversi coesistere da sempre sulla riva di questo lago senza nome. Pensare a come sarebbe nuovo e mozzafiato fare sesso con la ragazza che sta scendendo dall’autobus, perfetta, proprio davanti a me. Scendendo la seguo d’istinto, come si seguono solo le intuizioni geniali. Deve avere delle splendide gambe: solo chi ha delle belle gambe le nasconde dentro pantaloni larghi e morbidi. La seguo per qualche metro, poi lei si perde nei vicoli insignificanti di questo paese. E io decido che non sono qui per questo. E pensare che questo borgo ottocento anni fa ospitava degli eretici, e che allora il ‘eresia’ era una parola che faceva tremare, una parola che infiammava, dava speranza, ma generava fughe, torture e roghi. Una parola con un altissimo valore politico, e che oggi sarebbe solo un anacronismo, una metafora impropria. E penso a tutti i pensieri che penserebbe una papera mentre nuota controcorrente, la sua fatica, le sue traiettorie innate, il senso del suo starnazzare e del muovere quelle strane zampe palmate. Tocco istintivamente l’acqua del lago, pensando che questo lago senza nome, e questo tramonto fuoristagione esistevano identici ottocento anni fa, quando uomini coperti di tela sdrucita e lana grezza camminavano incolonnati per queste valli, per questi sentieri che come cicatrici increspano la superficie omogenea di questa morena, spinti solo da un’idea. Annuso la lana del mio maglione: sa di montagna. Sorrido. XVIII G. scrisse il suo saggio. Nick continuò a prendere appunti, a scrivere impressioni, intuizioni. All’azione politica ne erano seguite altre, cartelloni in stile pubblicitario che denunciavano, ridicolizzavano, ma non polemizzavano mai: la polemica era lo strumento della politica convenzionale, la polemica veniva lasciata ai commentatori. Infatti ogni azione aveva il proprio bravo dibattito, i propri titoli sui giornali, e piccole leggende metropolitane che circolavano nelle scuole, nei locali, nelle associazioni. Il mito era stato creato. Il metodo, soprattutto, era stato diffuso, e recepito. La funzione storica delle provocazioni era in fase di esaurimento. Un assioma della comunicazione vuole che il messaggio sia breve, e che il messaggero scompaia quando l’attenzione è ancora alta. Lasciando un vago senso di attesa. Prima che subentri la noia, l’abitudine. Di comune accordo G. e Nick avevano sospeso l’attacco mediatico. XIX “…ma adesso è tardi adesso torno al lavoro…” -F. De André- Ci sono momenti in cui l’esistenza vuole eroi, e momenti in cui ha bisogno di luce, di aria fresca, di erba e primavera, e baciperugina, e passeggiate alla domenica. Ci sono momenti in cui si sente pesante un bisogno di normalità ‘buona’, da affiancare alla quotidianità necessaria. Al ‘lavoro’, termine ormai inusuale, sostituito da mille sinonimi. L’esaltazione dell’azione del branco lascia spazio al bisogno intimista di silenzio, e pensiero, e… D. lasciò un foglio ripiegato al gestore del Grenz Punkt. Con scritto sopra ‘Nick’. E dentro: “La poesia, dal punto di vista chimico non è altro che un legame anomalo, instabile fra le parole. E’ quindi una scelta coraggiosa scrivere versi. Stare con te è un legame anomalo. E una scelta coraggiosa. Chiamami.” Così finiscono i mesi di silenzio. Con un biglietto in un’osteria. Con una similitudine custodita per giorni dal gestore di un locale, e consegnata con un sorriso insieme ad una birra scura. E allora è davvero luce, e aria fresca, erba e primavera, e baciperugina, e passeggiate alla domenica. e D. Nick finisce la birra ascoltando i ragazzi cantare ‘odio mosso da amoreeeeeee…’, gira il biglietto di D. e scrive: “I cristalli come algoritmi, e gli algoritmi come cristalli. Costruzioni perfette (tanto da sembrare artificiali), che rispettano geometrie apparentemente inattaccabili. E’ soltanto un gioco intellettuale arido il trovare le falle in questi ragionamenti consequenziali, il disgregarli partendo da un passaggio debole, da un’incoerenza interna? Come distruggere un sistema stradale facendo saltare un ponte. Chi ha costruito questa rete di strade sapeva che ogni ponte sarebbe stato un potenziale punto debole del suo intento connettivo. Bisogna ucciderli da dentro, questi ragionamenti, come un cancro. Aggrapparsi alle debolezze e trasformarle in materia morta. Fino a trovare l’impurità del cristallo, e dimostrare che non è altro che pietra. Una pietra come le altre.” L’eroe è veloce. Puro. Imprevedibile. La pietra. Come la logica. Ha pazienza.